Sull’articolo comparso sulla Nazione del 4 Settembre 2015 “Pontedera, la legalità ha perso il treno”
venerdì, settembre 4th, 2015“Leggo con stupore ed anche con amarezza l’articolo comparso su La Nazione di Venerdì 4 Settembre avente ad oggetto il tema dell’integrazione e della sicurezza a Pontedera con particolare riferimento al quartiere dalla stazione. Lo stupore deriva dal fatto che l’immagine della città fornita dall’inviato mi pare in primo luogo frettolosa e piuttosto edulcorata. Non voglio certo dire che le criticità non vi siano e che la grave crisi socioeconomica non abbia fatto che acuirle; molte azioni sono state messe in campo e molte altre ne servono ancora ma mi permetto di affermare in primo luogo e con certezza che il quartiere della stazione non possa esser definito “un ghetto”. Soltanto per il significato che questa parola indica e cioè un quartiere in cui sono relegate minoranze etniche o sociali emarginate, un’area affetta dai isolamento fisico e simbolico, di emarginazione e di inferiorità sociale e culturale vissuta da una minoranza socialmente, etnicamente o razzialmente esclusa dalla comunità di riferimento più ampia. Ecco, il quartiere della stazione a Pontedera non è certamente questo. Molti progetti di integrazione sociale e culturale sono stati messi in campo: l’intera città è pienamente interconnessa con quel quartiere; l’amministrazione comunale ha fatto uno sforzo di riqualificazione urbana importante, nell’area sono presenti importanti presidi pubblici (ad es. la sede dell’unione Valdera) e privati sia del tessuto associativo (sedi sindacati e centri servizi, sede CNA, cooperative sociali), sia del tessuto commerciale (bar, ristoranti) nonché del tessuto professionale (studi e consulenti).
Al quartiere della stazione sono dedicati importanti risorse economiche e progettuali per governare il fenomeno indiscutibile della presenza di cittadini stranieri; non più tardi di un anno fa il comune di Pontedera ha vinto un bando emanato dalla Unione Europea per incoraggiare iniziative di dialogo interculturale con un progetto giudicato il migliore tra tutti quelli presentati in Italia; in questo comune si è sperimentata, tra i primi in Italia, l’istituzione del consiglio degli stranieri e percorsi di cittadinanza attiva consentendo agli stranieri di eleggere i propri rappresentanti nei forum tematici partecipati dall’intera città. Le attività di integrazione nel quartiere della stazione di Pontedera prevedono annualmente momenti di incontro e socializzazione anche attraverso incontri gastronomici per conoscere gusti e sapori delle cucine delle culture e delle etnie presenti e momenti di ricreazione diffusa (questa stasera, ad esempio e tempo permettendo, vi sarà una proiezione di un film ad ingresso gratuito nel giardino pubblico).
Con poche parole, ma pesanti come macigni, quell’articolo distrugge un lavoro che pazientemente, anno dopo anno, passo dopo passo, ha visto protagonisti cittadini, associazioni, istituzioni, comitati, consulte, nella costruzione di una città, ritenuta a livello regionale, laboratorio di integrazione.
In questo senso trovo impropria la premura giornalistica a fornire una notizia intrisa di stereotipi e nel concreto ben lontana dal raccontare davvero quello che succede quotidianamente nella città di Pontedera.
A nulla vale, in tali casi, interrogarsi e riflettere su cosa è stato fatto (e cosa manca ancora) per una integrazione migliore ed ulteriore: potrei parlare e descrivere per ore le riqualificazioni urbane avvenute, gli innumerevoli interventi nelle scuole, le numerose iniziative ed eventi, i progetti di prossimità attivati e così via; tutto questo sembra non lasciar “traccia” di fronte alla potenza evocativa di parole come “ghetto”, “crimine”, “zona fuori controllo”.
Per analogia è come usare la stessa “ruspa” di Salvini: ha un effetto comunicativo dirompente ma non ci si preoccupa delle “macerie” culturali e sociali che lascia nelle comunità dove riesce a penetrare sfruttandone le fragilità. Le città sono laboratori di reale integrazione che quotidianamente si confrontano con questi fenomeni e dove ogni fatto avvenuto ma anche, e soprattutto, dove ogni parola detta e scritta è fieno per i magazzini dell’intolleranza e della paura pronto a bruciare quella coesione sociale costruita negli anni.
Parlare, infine, come fa l’articolo di “identità toscana scomparsa” mi pare davvero paradossale soprattutto in un momento in cui l’Italia e l’Europa stanno elaborando il tema dei flussi migratori, dell’accoglienza e dell’integrazione con tutte le difficoltà culturali e valoriali che conosciamo; l’identità toscana si trasforma, a Pontedera come a S.Maria Novella o Grosseto giorno dopo giorno secondo processi che sfuggono persino agli storici e che difficilmente possono esser circoscritti dall’attualità della cronaca.
A Pontedera i cittadini sono orgogliosi di esser “pontaderesi” ma hanno saputo e sanno, anche nelle difficoltà straordinaria che ci pone il presente, accogliere e convivere con le complesse trasformazioni del mondo globale di cui l’immigrazione fa inevitabilmente parte.
La zona della stazione, con tutte le criticità che conosciamo, non può nemmeno esser definita “fuori controllo” anche solo per lo straordinario lavoro e la grande attenzione che vi dedicano le forze di polizia con le limitate risorse umane e strumentali a disposizione; si tratta di parole che mortificano con eccessiva leggerezza un impegno concreto e quotidiano.
Voglio pensare, probabilmente, che la visita di un giorno in città non sia sufficiente a dar conto dell’enorme lavoro che questa comunità si è adoperata a fare per costruire quello che, ripeto, è un laboratorio di integrazione riconosciuto e riconoscibile da anni; sarebbe come provare a raccontare il piacere di guidare una Vespa senza salirci sopra, magari fermandosi a vederla nel nostro bellissimo e straordinario Museo Piaggio, proprio lì a due passi da quel quartiere.”
Simone Millozzi, Sindaco di Pontedera