“Sono tra quelli che hanno l’abitudine di non commentare in diretta i risultati elettorali poiché mi preme cercare di capire davvero che cosa i cittadini hanno voluto dire con il loro voto.
Con la mente fredda di qualche ora ritengo di poter affermare che in tutta Italia, così come in Toscana, si sia sedimentata in una parte importante dell’elettorato un atteggiamento che può esser riassunto nel “tutti tranne Renzi ed il PD”. È chiaro che trattandosi di elezioni amministrative, per una analisi seria e non strumentale, debbano sempre tenersi in considerazione le sfumature legate alle singole comunità, ai singoli candidati ed alle peculiarità di quella storia locale. Ma il filo rosso che mi pare accompagni il contesto politico generale possa esser questo.
La prima domanda che mi pongo è perché l’azione del Presidente del Consiglio e del Partito Democratico abbiano suscitato per un verso astensione e freddezza nel suo elettorato e per altro verso insofferenza e livore di un segmento di società così diverso ed eterogeneo ma coalizzato in modo naturale verso il candidato contro (sia esso del M5S, della Lega oppure di destra)?
La risposta che mi viene senza imbarazzo è che proprio il leader del maggior partito di centrosinistra, nella fretta di una rottamazione (troppo) frenetica, abbia sdoganato e fatto proprio il germe antistorico dell’antipolitica inseguendo e tamponando (in modo effimero) il cavallo di battaglia del movimento di Grillo ed il divano silenzioso dei delusi della politica.
Semplificando un po’ questo ragionamento credo che si possa giudicare come imperdonabile l’aver iniettato a dosi massicce nell’opinione pubblica il concetto per cui la distinzione tra destra e sinistra non aveva più motivo di esistere perché soppiantata dalla dicotomia del “nuovo” contro il “vecchio”. Per questa via il segretario del più importante partito della moderna sinistra europea ha creduto di appuntarsi la patente del cambiamento sacrificando sull’altare del consenso la distinzione ontologica, culturale, etica e politica che la storia dell’uomo ha sempre riproposto, seppur con definizioni diverse, fin dai tempi della nascita della democrazia: una politica di destra contrapposta ad una politica di sinistra che, con alterne fortune, si sono legate al ruolo indiscusso di un centro moderato. Abbandonare l’approccio di una visione politica con la P maiuscola della società, soppiantare l’idea cardine per cui i bisogni dei cittadini ed il governo di una città e del paese intero possano esser affrontati e governati con gli strumenti (rinnovati e rinnovabili) della sinistra oppure della destra, tessere legami ed alleanze più o meno efficaci con Berlusconi piuttosto che con Verdini, ritenere che il leaderismo debba e possa soppiantare l’idea di partito inteso come luogo collettivo ed organizzato dell’ascolto, della discussione e dell’elaborazione, ha generato risultati elettorali che oggi ci sorprendono oltremisura.
Se per mesi ed anni abbiamo noi medesimi cancellato il valore e la sostanza della diversità, che invero ritengo ancora profonda tra le soluzioni della sinistra e quelle della destra, è del tutto evidente che a Cascina non possa più aver alcuna presa durante il ballottaggio un messaggio per cui l’avversario era espressione di una forza xenofoba di destra; se per mesi ed anni siamo stati i primi a dire che il valore di una candidatura stava nella sua novità piuttosto che nel suo portato politico, non possiamo considerare i risultati di Torino con Appendino ed a Roma con Raggi una sorpresa quanto, invero, una logica ed una naturale conseguenza dei paradigmi assunti proprio dalla nostra azione politica.
Se per mesi ed anni il PD è diventato a livello locale e nazionale un comitato elettorale permanente in capo al notabile di turno, anziché un soggetto culturale e politico capace, con umiltà e molta meno arroganza, di elaborare una strategia chiara e di lungo respiro, di elaborare un pensiero autonomo in grado di parlare al paese, di tornare a dialogare con quelle parti della società duramente colpite dalla crisi – aree periferiche, aree popolari, classi lavoratrici- non possiamo oggi lamentare incredulità per il risultato elettorale. Questo è il compito di una sinistra moderna, di una sinistra che si fa interprete del disagio e della sofferenza e che ricostruisce con esse un legame solido di fiducia.
Con ciò credo non sia né utile né opportuno chiedere oggi, sull’onda della sconfitta, la “testa” di nessuno né a livello locale né a livello nazionale.
Penso altresì che sia però sbagliato congelare tutto in attesa dei risultati di un referendum costituzionale che già, ancora una volta, abbiamo legato alla sua copertina piuttosto che ai contenuti delle sue pagine.
Penso che sia invece necessario, prima ancora che giusto, che il Partito Democratico si metta a disposizione fin da subito non soltanto per una seria e dovuta riflessione post-voto, quanto piuttosto, per una oggettiva e necessaria autocritica che non si limiti all’autoreferenzialità di chi si guarda l’ombelico ma, al contrario, capace di ascoltare le disuguaglianze del paese che soffre per recuperare e riaffermare il suo profilo di forza progressista e riformatrice di sinistra, tracciando un orizzonte culturale e politico ben definito ed una visione di lungo respiro.”
Simone Millozzi
Sindaco di Pontedera