Questa mattina, in occasione della commemorazione dei defunti, le autorità hanno reso omaggio alla tomba del presidente emerito della Repubblica Giovanni Gronchi al cimitero della Misericordia di Pontedera. Con il sindaco sono intervenuti il Prefetto dott. Giuseppe Castaldo e per il “Centro Giovanni Gronchi” il prof Paolo Morelli e Matteo Pratelli, consigliere comunale di Palaia e studente di filosofia.
Il saluto del sindaco di Pontedera Matteo Franconi
Signor Prefetto,
autorità civili e militari,
colleghi amministratori,
cari studenti,
gentili ospiti,
Vi porgo il saluto della città di Pontedera e la mia personale gratitudine per esser qui oggi a rendere omaggio alla tomba del Presidente emerito della Repubblica Giovanni Gronchi. Pontedera non smetterà di ricordare il proprio concittadino rendendo merito alla sua statura di uomo e di statista. Sono qui in nome e per conto dell’intera comunità che vuol continuare a testimoniare il proprio riconoscimento ad una figura il cui lascito culturale e civico è scolpito nell’identità di questo territorio ed il cui insegnamento, ancora oggi, riesce a indicarci la strada da percorrere per affrontare le sfide che i nostri tempi ci pongono davanti. Questa città che ha dato i natali al Presidente Gronchi ha nei propri tratti distintivi l’attenzione al valore dell’essere umano ed il profondo rispetto della dignità delle persone. Questa città ha nel proprio DNA il coraggio e la determinazione per contrastare e combattere ogni forma di diseguaglianza. Questa città, forte di un tessuto associativo diffuso in ogni ambito della socialità, è profondamente attenta a valorizzare e mai demonizzare le diversità e le differenze. Quella di Pontedera è una comunità tanto aperta alle sfide dell’integrazione quanto fermamente esigente perché sia rispettato il patto di cittadinanza sulle regole di convivenza da parte di tutti i cittadini che la abitano e la amano. Voglia, signor Prefetto, raccogliere e trasmettere al Presidente Mattarella (che circa un anno fa ci ha onorato della sua presenza) il nostro sentito ringraziamento per aver voluto essere qui e rafforzare, con la sua presenza, il legame profondo tra questo territorio e le istituzioni tutte della nostra Repubblica.
L’intervento di Matteo Pratelli per conto del “Centro Giovanni Gronchi”
Nel numero di gennaio del 1964 «La Nuona Antologia», la rivista fiorentina allora diretta da Giovanni Spadolini, pubblicò in apertura un articolo di Giovanni Gronchi, ormai da 2 anni presidente emerito, dall’intrigante titolo Crisi dell’Europa e crisi dell’occidente? Si trattava del testo letto dallo stesso Gronchi a Bruxelles durante un’iniziativa della Fondation Européenne pour les Echanges Internationaux. Non sto qui a ripercorrere tutte le argomentazioni contenute nell’articolo riguardo alla crisi dell’Europa, così come poteva essere intesa nel 1964 a dieci anni dal fallimento della CED, la Comunità Europea di Difesa, che costituì la prima forte battuta d’arresto del processo di integrazione europea.
Mi limito a riproporre un punto importante di quel discorso.
“Penso che quanti di noi, nelle rispettive posizioni di responsabilità, vogliono un’integrazione europea effettiva e generatrice di reali solidarietà debbono collocare ad uno dei primi punti del programma di azione l’urgenza di impegnare ogni sforzo per realizzare la riforma del sistema elettorale dei membri del Parlamento Europeo: suffragio diretto ed universale deve essere la fonte del loro mandato, tale da rafforzarne l’autorità di fronte alle opinioni pubbliche ed anche ai governi dei vari paesi partecipanti. E non si attenda che tutti siano d’accordo in questa riforma: comincino ad attuarla per loro conto quei governi, quei Parlamenti che sono convinti della sua attuale necessità. Le maggiori vicende della storia sono state determinate dalla volontà di pochi, e la saggezza popolare in tutte le lingue ammonisce che in ogni impresa occorre che qualcuno cominci.
Una tale decisione dovrà naturalmente essere adottata dai Parlamenti nazionali, e presuppone una larga ed approfondita discussione sulle ragioni che la giustificano, sulle finalità da raggiungere e sulle modalità e sui metodi della realizzazione; in modo da costringere tutti ad affrontare il problema di fondo, sicché finalmente si sappia quale integrazione europea, quale Europa, e con quali istituzioni comunitarie, vogliono responsabilmente i gruppi dirigenti di ciascun paese. Si susciterà allora anche un largo movimento di opinione pubblica, ed il problema, inteso nei suoi termini concreti, comincerà ad entrare nella coscienza comune uscendo dai cenacoli e dalle salette ove si tengono periodiche «tavole rotonde» che sono nobilissime e spesso serie iniziative, ma non riescono a creare una sufficiente dimensione di interesse pubblico intorno a sé.”
Già nel 1964, dunque, Gronchi auspicava una riforma che si sarebbe realizzata solo nel 1979, pochi mesi dopo la sua morte: l’elezione a suffragio universale del Parlamento europeo. Avanzare una proposta del genere agli inizi degli anni Sessanta, infatti, significava richiamare alla mente dell’uditorio di Bruxelles e dei lettori della Nuova Antologia quella parte del trattato della CED che prevedeva la gestione della difesa europea da parte di un’assemblea parlamentare eletta a suffragio universale e da un esecutivo europeo, degli organismi che possiamo definire “federali” che negli intenti degli europeisti del tempo, come il nostro Alcide De Gasperi, dovevano favorire «lo sviluppo di una comunità militare in una comunità politica». Come è noto la CED fu bocciata dal parlamento Francese alle prese in quel momento con i risvolti politici della fine disastrosa della guerra in Indocina ed anche il parlamento italiano, preso dalle solite lotte fra partiti e correnti di partiti, tergiversò a lungo, fintanto che non fu tratto d’impaccio dalla bocciatura francese.
Non solo. Dal 1959 era presidente della Francia il generale De Gaulle le cui posizioni antifederaliste in nome della grandeur della Francia erano note, quindi la proposta di un parlamento eletto a suffragio universale in quel momento avrebbe incontrato sicuramente l’opposizione francese, ma non a caso Gronchi suggerisce che «comincino ad attuarla per loro conto quei governi, quei Parlamenti che sono convinti della sua attuale necessità», prospettando, quindi, già allora un’Europa a velocità diverse. Insomma il presidente emerito della Repubblica, che già in altre occasioni aveva ribadito la necessità di una partecipazione democratica anche alla politica internazionale, non voleva rinunciare a far sì che anche l’integrazione europea diventasse un problema che coinvolgesse l’opinione pubblica, che entrasse «nella coscienza comune uscendo dai cenacoli e dalle salette ove si tengono periodiche “tavole rotonde”» fatte solo per pochi addetti ai lavori.
In conclusione ancora una volta Gronchi dà prova della sua capacità di guardare avanti, di guardare lontano, e non è difficile cogliere il divario fra lo spessore di quelle sue parole e la nostra attualità politica.
È vero che con il passare del tempo si sono realizzate conquiste che negli anni Sessanta potevano essere solamente sognate, ma è anche vero che non tanto l’opinione pubblica, quanto i politici che detta opinione pubblica controllano, non sempre si rendono conto del valore delle istituzioni europee e tentano sempre di piegarle secondo le loro esigenze interne.
Due esempi molto semplici. Primo: noi in Italia viviamo le elezioni per il parlamento europeo più come un referendum sul governo in carica che non nella prospettiva della politica europea che quel parlamento dovrà elaborare; e ciò dipende prima di tutto dal tipo di campagna elettorale condotto dai vari partiti. Allo stesso modo Cameron indisse lo sciagurato referendum sulla Brexit non con lo scopo di rafforzare la presenza inglese nell’Unione Europea, bensì, confidando in una facile vittoria, per rafforzare il proprio governo. Secondo: per la prima volta il parlamento ha bocciato ben tre candidati commissari europei; è la risposta del parlamento, cosciente delle sue funzioni di assemblea rappresentativa eletta direttamente dai cittadini europei, alla pretesa dei governi di imporre una presidente di commissione che non fosse lo spitzenkandidat , o ‘il candidato guida’, per dirlo in italiano, uscito vincitore dalle elezioni, alterandone quindi il senso stesso. In altre parole, al contrario dei parlamentari di Strasburgo, i governi locali, cioè i partiti locali, non hanno ancora imparato a pensare una politica di respiro europeo
Tutto questo dimostra che nonostante i molti progressi, tanto ancora resta da fare per portare l’Europa ad essere da concetto astratto una realtà concreta, che entri nella mentalità e nel senso di appartenenza comune, fuori dalla logica dei facili particolarismi.
Oggi molti di noi sono spaventati dalla cosiddetta globalizzazione che, anziché essere un’opportunità di benessere per tutti, si è rivelata un drammatico “disordine globale”; probabilmente, se ci sforzassimo di guardare avanti, come sapeva fare Giovanni Gronchi, anziché rimpiangere un mondo che non c’è più, potremmo vedere che la formazione di un forte blocco europeo, pilastro di una nuova governance globale, può essere l’unica ancora di salvezza per le nostre antiche patrie europee.
Alcune foto della commemorazione