Dal 1968 la sua festa è stata trasferita al secondo giovedì di ottobre. Il trasferimento all’autunno si rese necessario perché aveva poco senso festeggiare il patrono quando, per i mutati ritmi della vita, la città era pressoché deserta a causa delle ferie, e, d’altra parte, ai primi di ottobre riprendevano a pieno ritmo tutte le attività (scuole comprese). Altrettanto sembrò opportuno scindere la festa patronale dalla domenica che doveva restare esclusivamente il “giorno del Signore”, ma anche avvicinarla alla Fiera (il primo giovedì dopo S. Luca), ma senza sovrapporla né confonderla, per tenere distinto il sacro dal profano.
La vita di Faustino ci è quasi del tutto sconosciuta, tanto che i nostri antenati avevano finito per confonderlo con S. Faustino di Brescia o per attribuirgli caratteristiche fantasiose come l’essere un soldato romano o fratello di S. Valentino, patrono di Bientina. Addirittura si diceva che il suo scheletro mancasse della testa, perché nell’antica sistemazione delle ossa nell’urna il cranio era stato ricoperto da una maschera di cartapesta, poi tolta durante la ricognizione effettuata dopo la II guerra mondiale. Niente di tutto questo è vero; e, d’altra parte, nel Seicento la raccolta delle ossa inumate nelle catacombe non era effettuata con i criteri con cui oggi si procede ad uno scavo archeologico, per cui anche i dati ricavabili dalle caratteristiche della sua tomba sono andati perduti. Forse anche il nome “Faustus” indica uno dei tanti “lieti” di aver dato la vita per la fede in Cristo Gesù.
Ma che senso ha, allora, venerare un santo di cui non si sa nulla? Quelle donne e quegli uomini che la Chiesa ha dichiarato santi sono coloro che per il loro «singolare esercizio delle virtù cristiane» sono stati proposti a tutti i fedeli come modelli da imitare (cfr. “Lumen Gentium”, 50). Ma come possiamo imitare un personaggio la cui vita ci è quasi del tutto sconosciuta?
In realtà di S. Faustino sappiamo due cose fondamentali: era un giovane, come dimostra la struttura delle sue ossa, ed è vissuto da cristiano in un’epoca (presumibilmente il III secolo) in cui essere cristiani significava mettere a rischio la vita. La tradizione ce lo ha consegnato come martire, cioè ucciso a causa della sua fede (dato il ritrovamento, molto frequente, vicino al suo corpo di un’ampollina con sangue coagulato); ma se anche fosse morto di morte naturale, Faustino resta comunque uno di quegli eroici primi cristiani che accettavano il rischio di una condanna a morte pur di seguire il Vangelo.
S. Faustino, insomma, è per la comunità cristiana di Pontedera il segno concreto di una storia ininterrotta cominciata sul Golgota quando era imperatore Tiberio Augusto e Ponzio Pilato era governatore della Palestina, e da lì dipanatasi attraverso la vita e le opere di grandi personaggi come gli Apostoli o i grandi santi del calendario, ma anche di tante persone anonime, come il nostro Faustino o quei Pontederesi del Seicento iniziatori del suo culto, grazie ai quali il Vangelo è arrivato fino al III millennio. Per i cristiani di oggi venerare S. Faustino significa sentirsi inseriti in questo cammino secolare della Chiesa e quindi impegnati a trasmettere alle generazioni future la fede ricevuta da chi li ha preceduti.
Prof. Morelli Paolo
(in collaborazione con prof. Stefano Bertelli)
Pagina aggiornata il 23/10/2023