Gli interventi del Sindaco e degli studenti.
L’intervento del sindaco Matteo Franconi
Cari concittadini, care autorità,
porto a voi tutti il saluto di Pontedera e dell’Amministrazione Comunale in questa occasione dove festeggiamo la Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, una celebrazione nata per commemorare la vittoria nella Prima guerra Mondiale.
Oggi abbiamo ampliato le ragioni di questa commemorazione con un forte riferimento all’Unità d’Italia, agli uomini e alle donne delle nostre Forze Armate, alla bandiera tricolore.
E’ passato quasi un secolo da quando i nazionalismi, gli imperialismi e gli interessi economici trascinarono l’Europa e il mondo intero in una drammatica sequenza di conflitti che produssero, tra il 1916 e il 1945 oltre 60 milioni di morti. L’Europa è uscita sconvolta dalle due grandi guerre e solo negli ultimi 60 anni ha saputo coltivare la pace anche grazie alla volontà comune di superare quelle divisioni che avevano provocato tanti lutti.
Oggi però questa stessa Europa è davanti ad un guado: se da un lato è stata capace di garantire la pace dall’altro non ha saputo traghettare i vari Paesi verso un destino completamente comune.
In un mondo che è diventato improvvisamente piccolo ed interconnesso, grazie agli strumenti della tecnologia, è veramente anacronistico pensare a chiudersi dentro mura che disegnano confini. E’ anacronistico e inutile perché l’uomo vive in un villaggio globale dove condivide il suo destino da vicino con tutti gli altri uomini. Oggi possiamo parlare e vederci in tempo reale con altri uomini in ogni altra parte del pianeta. Mangiamo merci provenienti dall’altro capo del mondo e produciamo merci vendute agli antipodi del nostro pianeta.
Il mondo di questo uomo nuovo comporta la crescita di una nuova coscienza di pace con l’auspicio che le disuguaglianze siano superate nella direzione di un sistema condiviso di doveri e regole, verso una nuova economia della solidarietà tra tutti i paesi del mondo.
In questo quadro così complesso ed incerto le Forze Armate italiane costituiscono un’istituzione di riferimento per il paese e per la comunità internazionale e, con la loro opera, contribuiscono a costruire, insieme agli strumenti militari di stati amici ed alleati, la sicurezza e la stabilità nelle aree più critiche del mondo e lungo le grandi vie di comunicazione, vitali per la libertà dei traffici commerciali.
E’ a questa fondamentale esigenza di trasformazione innovativa che le Istituzioni e le stesse Forze Armate sono oggi chiamate a rispondere in tempi brevi, con il sostegno dei cittadini.
In questa occasione dunque voglio ringraziare a nome di tutta la nostra città gli uomini e le donne in uniforme con un pensiero particolare a chi sta prestando la propria opera lontano da casa, in territori spesso difficili e pieni d’insidie.
Assieme all’omaggio ed all’onore che vogliamo tributare stamani verso tutti coloro che hanno perso la vita per questo grande paese lanciamo anche un messaggio di speranza e di gratitudine alle donne ed agli uomini che lo stanno servendo con dedizione e professionalità. Viva le Forze Armate, viva la Repubblica, viva l’Italia!
L’intervento dello studente Lorenzo Alderighi (Liceo classico-scientifico XXV aprile)
Da studente del Liceo classico-scientifico XXV aprile sono qui questa mattina assieme a voi per rendere ai caduti di tutte le guerre l’omaggio del mio istituto. Il 4 novembre di centouno anni fa entrava in vigore l’armistizio di Villa Giusti con il Bollettino di guerra n.1268, noto come Bollettino della Vittoria, e terminava per il nostro Paese la prima guerra mondiale. Il testo del famoso documento, un tempo imparato a memoria dai bambini delle scuole elementari, celebra una gloriosa vittoria italiana su un esercito austro-ungarico oramai ridotto in pezzi. Tuttavia la vita di oltre 1.240.000 connazionali fu il prezzo di questa “vittoria”, un prezzo tanto alto da farci chiedere se esso stesso non sia stato in fondo una sconfitta. A tanto tempo da tali avvenimenti la memoria delle vittime rischia di diventare una semplice consuetudine, una formalità; indubbiamente il 4 novembre 1918 è una data fondante della nostra storia nazionale, ma non dobbiamo smettere di riflettere sulle cause che diedero origine al conflitto; ne vorrei sottolineare una in particolare: il nazionalismo. E’ risaputo quanto fra Otto e Novecento l’idea di nazione sia stata coltivata e di quali progressi essa sia stata effettivamente motrice, a cominciare dall’unificazione italiana, eppure talvolta sembriamo dimenticarne la degenerazione, il nazionalismo, ovvero la negazione dei diritti degli altri popoli in nome della grandezza, o anche semplicemente della “sicurezza” del proprio, una scellerata ideologia alla base non soltanto della prima, ma anche della seconda guerra mondiale. Dico questo perché oggi tale ideologia sta risorgendo dalle macerie di questi due drammatici conflitti, mimetizzato dietro un termine nuovo, sconosciuto qualche anno fa: sovranismo. Nonostante simili carneficine abbiano spinto uomini di grande spessore a realizzare organismi sovranazionali come l’Organizzazione delle Nazioni Unite o l’Unione Europea, al fine di limitare, se non addirittura eliminare, le occasioni di attrito fra Stati, vi è ancora chi rivendica la piena sovranità del proprio, evidentemente ritenendo che la partecipazione a questi organismi ne comprometta gli interessi. Dopo aver la generazione dei miei genitori salutato con gioia l’abolizione delle dogane e la libera circolazione di cittadini europei dalla Sicilia alla Scandinavia, dopo che finalmente nell’89, proprio 30 anni fa, fu abbattuto lo scempio che era il muro di Berlino, c’è chi torna a pretendere chiusure, muri e fili spinati, alimentando l’idea che quanto arrivi dall’esterno sia esclusivamente nocivo, che la nazione debba essere protetta da contaminazioni e aberrazioni, che quanti hanno la pelle di un colore diverso dal nostro, parlano una lingua diversa dalla nostra, professano un’altra religione o addirittura hanno un orientamento sessuale diverso dalla maggioranza, rappresentino un pericolo. Come sappiamo è attuale la necessità di fornire di una scorta la senatrice Liliana Segre, ebrea sopravvissuta ad Auschwitz, campo di sterminio nazista e frutto più riprovevole del nazionalismo del passato; poiché nuovamente oggetto di minacce e attacchi di ogni genere da parte di bulli della rete, che non esito a ritenere figli del clima di odio e di sospetto che il cosiddetto sovranismo alimenta oggigiorno. In altre parole: i sovranismi, gli odierni nazionalismi, che minacciano la preziosa ed entusiasmante identità europea che abbiamo conquistato, sono i medesimi che per ben due volte hanno immerso il nostro continente in un bagno di sangue. Ecco perché io e i giovani che rappresento guardiamo con fiducia alle nostre Forze Armate, che oggi celebrano la propria festa. Sappiamo come esse siano impegnate con successo in tante rischiose missioni di pace e come facciano conoscere nel mondo il vero significato dell’essere Italiani. Ai nostri militari, impegnati nel perseguimento dell’unità e della cooperazione tra i popoli, come realizzatrici di ponti e non di muri, vada pertanto il nostro plauso e la nostra riconoscenza.
L’intervento di Andrea Aringhieri, laureato da poco all’Università Bocconi di Milano
Son passati più di 100 anni da quel 4 novembre. Son cambiati parzialmente gli attori nello scenario mondiale e son migliorate le nostre condizioni di vita, eppure ancora permangono nuvole grigie all’orizzonte pronte a scaricare la pioggia su ognuno di noi. Il vento della Grande Guerra un secolo fa portò via numerosi uomini, per consegnarli a rigidi inverni passati in gallerie a 2000 metri nei confini terrestri di allora, adesso le frizioni avvengono ad un livello più sottile, verbale, ma portatrici di potenziali conseguenze altrettanto pandemiche, senza sparare un colpo. Al tempo i nazionalismi, le pretese egemoniche e le esigenze economiche avevano visto scontrarsi le grandi potenze europee già nel continente africano per le importanti risorse che deteneva e la Guerra fu la conseguenza a un fiammifero acceso a Sarajevo in un ambiente già saturo di tensioni. Purtroppo le ambizioni egoistiche delle superpotenze mondiali mai si sono placate, nemmeno oggi che ricorrono 30 anni dall’abbattimento di uno storico Muro. Anzi, forse ha obbligato ad un ulteriore cambio del campo di battaglia: dalla guerra di trincea, alla Guerra Fredda, fino alla guerra economica. Oggi non è più necessario lanciare un missile per distruggere l’industria del nemico: la guerra dei dazi fa più danni e più “feriti” tramite una semplice dichiarazione e l’approvazione di una comune legge ordinaria. Una volta si mobilitavano i plotoni per la conquista di un bacino carbonifero o il passaggio su un canale, adesso la libera circolazione dei capitali permette la scalata ostile di un’azienda-chiave per l’economia di un paese, e esportare il know how e lo stabilimento. Ecco che un secolo dopo si può distruggere l’apparato produttivo di un paese non con bombardamenti, ma per via finanziaria. Il ritorno di fiamma del protezionismo e la recessione del commercio internazionale è evidenziata dal calo degli investimenti diretti esteri, diminuiti del 20% a livello globale e di ben 14 miliardi dall’ultimo semestre 2018 al primo semestre 2019 in Italia. Tutti concordano che la guerra dei dazi porti incertezza e l’incertezza è nociva alla crescita globale. Non solo: ciò che attualmente sembra uno scontro principalmente cino-americano, è appunto destinato a colpire direttamente anche i prodotti italiani, come quelli lattiero-caseari o l’industria dell’automotive, portando il conto dei potenziali danni a 5 miliardi e a spostare i flussi delle catene di fornitura mondiali. Tra i maggiori settori colpiti vi è anche quell’industria pesante che tanto si sviluppò in termini di volumi e innovazione nel XX secolo sullo stimolo notevole che aveva dato la Grande Guerra, ma che oggi arranca notevolmente: la crisi dell’Ilva è un chiaro esempio di come la chiusura di una singola azienda possa ferire 10mila persone senza bisogno di baionetta o granate. Una testimonianza del cambio di paradigma lo si percepisce anche nel risalto che gli organi di stampa dà alle personalità fondamentali del governo: a inizio Novecento erano il ministro della Guerra e il Ministro degli Esteri che dovevano svolgere un’abile azione diplomatica per alleanze palesate e intese segrete, adesso tutti comprendiamo l’importanza di Ministri dell’Economia e dello Sviluppo Economico, costretti a muoversi in una immaginaria trincea tra una moltitudine di guerre economiche. In queste nuove guerre del XXI secolo si sono aggiunti anche nuovi attori privati, ma grandi come entità statali: sono le grandi multinazionali, che hanno acquistato una dimensione tale da determinare le fortune di una regione o da muovere masse monetarie pari a decine di miliardi. Ciò causa una corsa al ribasso della aliquote fiscali tra gli Stati per accaparrarsi le imposte o le produzioni delle multinazionali: lo scontro su questo campo è acceso anche all’interno della stessa Europa. Che cosa accadrà domani? E soprattutto: che cosa accadrà al nostro paese? Che siamo in grande difficoltà lo capiscono tutti e, parlando di I guerra mondiale, viene in mente l’Italia di Caporetto. Dopo quella disfatta, chi avrebbe scommesso sulla vittoria italiana? Sul Piave resistette non solo l’esercito, ma l’intero popolo italiano impegnato a sostenere in ogni modo un immane sforzo bellico. Ma oggi? Sappiamo tutti che le nostre forze migliori, i giovani laureati più brillanti, scappano, vanno a cercar fortuna altrove e non mi pare che si faccia molto per fermarli. L’opinione pubblica è più preoccupata per qualche immigrato africano che per questa perdita di forze valide (28mila unità ogni anno!!!) che oltretutto vanno ad accrescere il potenziale umano dei nostri concorrenti economici; l’opinione pubblica si accontenta di mandare in pensione un paio d’anni prima persone che già hanno un dignitoso reddito piuttosto che potenziare istruzione e formazione. Se questo fosse stato l’atteggiamento degli italiani dopo Caporetto, oggi non saremmo qui a festeggiare una vittoria. Onore, quindi, ai nostri vecchi che combatterono sul Carso e sul Piave, onore a chi li sostenne col proprio lavoro, nella speranza che il loro fulgido esempio possa portare la nostra opinione pubblica a ripensare i propri atteggiamenti, apparentemente furbi, ma in realtà profondamente autolesionistici
Le foto dell’iniziativa
Il programma della cerimonia
- Ore 9:00 Pontedera, Piazza Garibaldi
- Ritrovo e partenza
- Ore 9:15 Montecastello
- Visita e omaggio al Monumento e alla Lapide ai Caduti di tutte le guerre
- Ore 10:00 La Rotta
- Visita e omaggio al Monumento e alla Lapide ai Caduti di tutte le guerre
- Ore 10:45 Treggiaia
- Visita e omaggio al Monumento ai Caduti di tutte le guerre (Madonna di Ripaia)
- Ore 11:30 Pontedera, via Morandi
- Incontro alla Casa del Mutilato con interventi del Sindaco e delle Autorità presenti
- Ore 12:00 Pontedera, piazza Garibaldi
- Conclusione della manifestazione con le Autorità, le rappresentanze e la cittadinanza
Esibizione della Banda Filarmonica “Volere è Potere” e dell’Accademia Musicale Glenn Gould
Tutti i cittadini sono invitati a partecipare
Il Sindaco Matteo Franconi